Santa Cecilia da Montelovesco (eremita vissuta nel XIII secolo )

L’Umbria è una terra che ha sempre espresso una profonda spiritualità. Sono centinaia i santi venerati nei paesi e nelle città; e poi gli eremiti, una moltitudine di persone che hanno nutrito il loro spirito dell’armonia della natura e della forza evocativa di questi luoghi. Alcuni sono pressoché sconosciuti, il loro nome è legato unicamente a una chiesetta sperduta in mezzo alla campagna o a un santuario che pare quasi impossibile da raggiungere.

Come Santa Cecilia da Montelovesco (Gubbio) – dichiarata santa subito dopo la sua morte dalla popolazione rurale che ne aveva conosciuto le virtù mistiche e sperimentato le capacità terapeutiche – che visse nel XIII secolo tra Gubbio e Umbertide. Invocata per secoli per ottenere la fecondità delle donne e la salute dei nascituri fino a tutta l’infanzia. La chiesetta è sperduta in una gola in mezzo ai monti. Cecilia viveva in una grotta e l’acqua del torrente che scorre in quel luogo è ritenuta terapeutica…

Anche se si può far rientrare nel folto gruppo di mistiche umbre rivelatesi nel Duecento – come Chiara d’Assisi, Chiara di Montefalco, Giovanna da Orvieto, Angela da Foligno – Cecilia è straordinaria per il suo stretto eremitaggio e per le sue attribuzioni, testimoniate anche da alcune visite pastorali dal XVII al XIX secolo: “Le popolazioni vicine e lontane hanno un grande culto per questa chiesa e vi accorrono a torme per sciogliere voti, per impetrare o ringraziare per la grazia della guarigione dei loro bambini”.

Cecilia risulta connotata da una serie di elementi che sono tipici di tante figure – soprattutto femminili – caratterizzate da elevato misticismo, capacità di veggenza e di ottenimento di guarigioni fisiche e spirituali per la loro intercessione presso Dio. Elemento principale comune anche ad altre figure è l’acqua sorgiva: a Montelovesco si scende, come un “fioretto”, lungo l’accidentato percorso che porta alle “tazze” – delle coppe scavate nella pietra e che la tradizione attribuisce all’intervento della santa allo scopo di raccogliere l’acqua – e all’insenatura a forma di vasca sotto una cascatella dove la santa si bagnava. Si utilizza quest’acqua, devotamente, come terapia: si beve, ci si bagnano gli arti doloranti, si porta ai malati. L’acqua è quella del torrente Mussino che nasce poco distante e che, infine, confluisce nel Tevere. Impronte delle ginocchia della santa e della sua capretta si possono individuare nel catino roccioso dove andava a lavarsi o sul soffitto della grotta, scavata nello scoglio, in cui Cecilia avrebbe trascorso la sua vita eremitica, lasciandovi le tracce del corpo dormiente rimaste sempre intatte.

Altro elemento importante che connota la vita eremitica è la grotta, appunto, perché richiama il rito dell’incubazione, che è tra le pratiche devozionali-terapeutiche connesse al culto di Santa Cecilia (derivante dal rito in uso nell’antica Grecia legato al culto di Esculapio sin dal IV sec. a.C.). I bambini venivano posti per qualche tempo in una buca al centro della Chiesa affinché vi dormissero. Più tardi, nei resoconti delle visite pastorali, non si parla più di tale buca ma si insiste sulla valenza terapeutica della santa in relazione alla sua intercessione in favore dei bambini. Nella stessa immagine raffigurante S. Cecilia, ella ha in mano un nido, che simbolicamente rappresenta i valori legati alla fecondità, alla nascita, alla cura delle piccole creature.

Alla morte di Cecilia fu costruita un’edicola che, numerose volte restaurata, oggi è divenuta una Chiesetta ove si celebra la messa per i bambini il lunedì di Pentecoste.
O gloriosa Santa Cecilia
che nella solitudine dei nostri monti
e nell’aspra penitenza
santificasti queste terre e ne facesti il luogo sacro della perfezione
fa che rimanga sempre viva fra noi la memoria delle tue straordinarie virtù
sempre luminosa la luce dei tuoi purissimi esempi
sempre potente e dolcissima la tua benedizione.